Homélie de S. E. Rev.ma Card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi

OMELIA NELL’ANNIVERSARIO DELLA NASCITA AL CIELO DELLA VENERABILE MADRE TECLA MERLO1
S. E. Rev.ma Card. Angelo Amato

1. Nella voluminosa Positio che tratta delle virtù eroiche della Venerabile Madre Tecla Merlo2, confondatrice e prima superiora generale delle Figlie di san Paolo, si legge:

«Tecla Merlo […] è stata una grande donna, una perfetta religiosa, una confondatrice illuminata e preveggente, aperta alle necessità dei tempi moderni, un’umile e fedele esecutrice della volontà divina, che ha cercato sempre e soltanto la gloria di Dio e il bene delle anime».

E il Beato Giacomo Alberione aggiunge:

«Alla Serva di Dio era familiare questa frase […]: “Tutto solo e sempre per la gloria di Dio e per il bene delle anime”».

Questa passione per la gloria di Dio e il bene delle anime era la molla dell’ impegno della Venerabile Madre nelle mille opere della comunicazione sociale, apostolato specifico del carisma paolino. Stampa, propaganda, radio, cinema, televisione, dischi, filmini erano da lei considerati strumenti efficaci per la moderna evangelizzazione. La sua esistenza fu santamente sprecata – come l’esistenza di ogni consacrata – per il Vangelo, affinché il profumo della parola e della grazia di Cristo si spandesse per il mondo, purificandolo, migliorandolo, santificandolo.

2. Ed è una vera eleganza della divina Provvidenza che oggi, domenica 5 febbraio 2012, anniversario della nascita al cielo della Venerabile, la liturgia della Parola proponga un brano che Madre Tecla visse intensamente nella sua missione apostolica. Si tratta dell’urgenza non solo etica, ma vocazionale, che san Paolo sente di dover annunciare la buona notizia di Cristo alle genti:

«Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9,16).

Paolo, convertito e conquistato da Cristo, non vive che per il Signore: parla, agisce, soffre, viaggia solo per Gesù, diventato non solo il suo ispiratore ma la sua stessa vita. E l’apostolo accompagna questa questa sua indomabile tensione evangelizzatrice con l’apporto di una vita virtuosa di condivisione delle gioie e dei dolori del prossimo, per far sì che la buona notizia di Cristo, da lui copiosamente predicata, ritorni anche su di lui a benedizione e salvezza:

«Pur essendo libero da tutti – dice l’Apostolo –, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io» (1Cor 9,19.22-23).

3. Come san Paolo, anche Madre Tecla era consapevole che la missione evangelizzatrice esige la perfezione della carità, virtù principe del cristianesimo, che, se vissuta, ci accompagna fino alla patria celeste. Ed è stata questa la testimonianza esistenziale della Prima Maestra, chiamata a dirigere la congregazione dal suo nascere e a guidarla nella sua prodigiosa espansione mondiale. L’amore verso Dio, pregato, meditato e adorato nell’Eucaristia, si riversava abbondantemente nel prossimo e soprattutto nelle consorelle. Il suo desiderio era che il Vangelo di Gesù giungesse in ogni casa, per portare la parola divina di verità, di giustizia, di vita.

Questa sua carità spirituale aveva dei risvolti concreti nell’aiuto alle persone bisognose, povere, sofferenti:

«Provvedeva  tutto  quanto  poteva rimediare  per  le loro  necessità,  indumenti, cibi e secondo le possibilità, mandava anche offerte in denaro con larghezza, a chi sapeva in condizioni particolari.  Aveva  delle sfumature  di  delicatezza  e  di  attenzione, che commuovevano ed edificavano: sapeva aiutare senza umiliare».

Le testimonianze raccontano le visite alle famiglie colpite da sciagure, che Madre Tecla confortava e sempre aiutava in modo concretissimo. Durante la guerra e nell’immediato dopoguerra lei fu la mano della Provvidenza per tante famiglie bisognose alle quali procurava lavoro di cucito e ricamo. Inviava le suore a visitare i carcerati, i malati nelle famiglie e spesso faceva pagare anche gli affitti a poveri vecchi. Agiva con discrezione, con delicatezza: faceva la carità con carità. Carmela Nardi, vedova con quattro figli, attesta:

«La Serva di Dio non solo mi aiutò con le parole, ma intervenne con la sua carità operosa e concreta, incaricò le suore perché mi provvedessero di viveri di prima necessità per la mia famiglia. […] Mi fu provveduto anche il vestiario».6

Suor Ignazia Balla racconta dell’aiuto che la Madre dava a delle signorine, marchesine decadute, che vivevano nella più assoluta povertà. Periodicamente Madre Tecla chiedeva a Suor Ignazia:

«Hai mandato l’offerta alle signorine Bueca?».7

Non mancano le testimonianze di sacerdoti poveri e ammalati o che avevano abbandonato il ministero, che furono aiutati in un modo o nell’altro dalla carità generosa della Madre.

4. La carità di Madre Tecla era rivestita di umiltà. La Venerabile fu una maestra, ma soprattutto una madre con un cuore aperto e comprensivo. Fu la guida, ma anche la mano amica che accompagnava le consorelle nel cammino della vita. Verso le suore era pronta alla comprensione e al perdono. Di fronte a giudizi umani poco benevoli nei suoi confronti, reagiva con carità, disposta a dimenticare e a perdonare, ma soprattutto a chiedere perdono e a rimediare se si era sbagliata.

Le inevitabili umiliazioni della vita comunitaria venivano da lei accolte con spirito di umiltà. I testimoni rilevano  che  sapeva riconoscere gli sbagli e li riparava nei limiti del possibile, adoperandosi a correggere i propri difetti. Edifica leggere questa testimonianza:

«Di fronte alle umiliazioni ringraziava, non si smarriva, si esaminava meglio per conoscere la verità davanti a Dio, non mostrava risentimento per chi poteva esserle causa di sofferenza. Se le umiliazioni provenivano dalle consorelle, verso le medesime mostrava gratitudine e affetto».

Nonostante fosse già superiora generale, nei primi tempi della casa di Roma la Madre si adattava a fare i lavori più umili, come pulire i servizi, lavare i piatti, spazzare i pavimenti. Durante le ricreazioni, spesso si sedeva in mezzo alle suore e, cinto un grembiule da lavoro, aiutava a pulire le verdure. Le giovani vedevano e imparavano.

5. Questa sua carità e umiltà, fecero lievitare il suo spirito di fede, che la rese forte e coraggiosa nell’affrontare, ad esempio, le fondazioni all’estero, confidando, più che sulle deboli forze delle consorelle, sull’aiuto della Divina Provvidenza. Suor Nazarena Morando, che fu con la Madre dal 1919 alla morte, dice:

«Quando le Figlie di S. Paolo non avevano ancora un nome, un volto, una casa, la Prima Maestra credette e si abbandonò con piena fiducia in Dio e fu docile fino all’eroismo. Aveva una fede che la portava ad accettare la volontà di Dio, le disposizioni e le direttive del Primo Maestro anche quando erano oscure, tassative e importavano sacrifici e rinunce […]. E la Prima Maestra non era affatto un carattere debole, passivo; era forte, energica, decisa […]. Perciò, il suo abbandono e la sua docilità erano frutto della fede».9

6. Fin qui abbiamo esaminato solo alcune facce del prisma luminoso della santità della Madre: la sua carità, la sua umiltà, la sua fede. Ci possiamo domandare: cosa potrebbe dire oggi la Madre alle sue Figlie? Ovviamente la risposta tocca a voi.

Da parte mia, mi limito a ricordare la fortuna che abbiamo nel vivere momenti privilegiati, come sono l’anno della fede e il sinodo della nuova evangelizzazione. Si può dire che si tratta di un secondo anno “paolino”, particolarmente in consonanza col vostro carisma. È un’ulteriore opportunità che non dovete lasciarvi sfuggire per rilanciare il vostro carisma, di una urgenza straordinaria oggi.

Le difficoltà per la nostra vita di fede e, in generale, per la nostra vita consacrata oggi non provengono tanto dall’esterno, ma da noi, dal nostro cuore, dal nostro pensiero. Oggi la fedeltà religiosa viene continuamente tentata da un atteggiamento di pigrizia spirituale, che i maestri di spirito chiamano accidia. Si tratta di quell’appiattimento spirituale, che rende i consacrati lenti e pigri nella virtù. Invece della fatica e del sacrificio, si preferisce l’inerzia indolente e triste di chi ha smarrito l’entusiasmo degli inizi. Invece dell’eroismo delle virtù, l’obiettivo della vita viene ricalibrato verso il basso, verso la mediocrità.

Io credo che la Madre, con la sua decisa volontà di bene, esorterebbe le sue figlie a superare questa stanchezza spirituale e a guardare in alto, alla parola di Dio, e a risalire il monte del Signore, riabbracciando la croce quotidiana, non come il Cinereo, per costrizione, ma come Gesù, per convinzione. Sin dal principio, ogni azione apostolica che viene dallo Spirito implica la passione, che è il suo fermento spirituale.

Madre Tecla oggi vi ripeterebbe:

«Se il vaso non è pieno, non trabocca». Voleva dire, che se il nostro cuore non è pieno di carità, di umiltà, di fede non può trasmettere e non può donare nulla agli altri. La Madre diceva ancora: «Questo conta: farsi sante, farsi sante. Il resto, non conta niente».10

Non lasciamo cadere nel vuoto queste sapienti parole della Prima Maestra. Che Maria, regina apostolorum e auxilium christianorum, vi protegga e vi accompagni nella vostra missione.


1 Tenuta a Roma, nella Chiesa Regina Apostolorum, il 5 febbraio 2012.
2 Di Madre Tecla Merlo (1894-1964) si narra che, non potendo, per ragioni di salute, essere ammessa tra le Suore del Cottolengo di Torino, si aggregò al gruppo delle giovani che don Alberione stava formando per il costituendo Istituto delle Figlie di San Paolo. Nel 1922, emise ad Alba i voti privati e ricevette il nuovo nome di Tecla. Alla stessa data fu anche nominata superiora generale, divenendo quindi, analogamente a quanto avveniva per il superiore del ramo maschile, “Prima Maestra”. Dall’approvazione diocesana dell’Istituto, avvenuta nel 1929, la biografia di Madre Tecla si confonde con la storia della Famiglia Paolina. Fu un’interprete dinamica e creativa del carisma paolino della buona stampa. Morì il 5 febbraio 1964, lasciando in eredità alle sue figlie l’esempio della sua vita santa. Soleva dire: «Tutto è nulla, eccetto la santità».
3 Informatio, p. 2.
4 Summarium, § 22.
5 Summarium, § 1123.
6 Informatio, p. 81-82.
7 Informatio, p. 82.
8 Informatio, p. 113.
9 Summarium, § 684.
10 Informatio, p. 128.

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