Tecla, donna di fede

DALLA TESTIMONIANZA DI DON CARLO DRAGONE

una mente eccezionale per vastità e profondità. Il suo Diario spirituale è un vero tesoro di esperienze mistiche vissute nel quotidiano paolino.
Carlo Tommaso Dragone (1911-1974)

Avevo sempre stimato e ammirato Maestra Tecla, fin da quando la conobbi poco dopo il mio ingresso nella Pia Società San Paolo (1925). Ogni incontro accresceva la stima verso di lei come persona prudente, capace e virtuosa. Ebbi occasione di incontrarla e di parlarle più spesso, dal 16 giugno 1963, quando si fermò nella clinica “Regina Apostolorum” come degente.

Dopo il primo attacco del male si era ripresa e poteva ancora esprimersi con relativa facilità anche se la sua parola ogni tanto si inceppava. Mi dava il resoconto spirituale della giornata, si parlava di argomenti spirituali e si concludeva invariabilmente con la confessione sacramentale. Questi incontri mi confermarono nella convinzione che Maestra Tecla era un’anima veramente di Dio, la donna sapiente, forte e giusta, lodata dalla S. Scrittura, ricca di doni naturali e soprannaturali. Il tutto sotto il discreto velo della semplicità e della umiltà.

Nella malattia, la fede di Maestra Tecla si manifestò in tutta la sua semplicità e grandezza. Mi ripeteva spesso: «Quanto è stato buono il Signore Gesù nel darmi un segno della mia prossima morte e nel concedermi questa ripresa perché possa prepararmi al giudizio e al paradiso. Mi aiuti lei a utilizzare bene questo tempo di preparazione, voglio fare tutto il Purgatorio su questa terra… Desidero che la malattia serva a purificare me stessa, a ottenere molte grazie alle suore, al Primo Maestro, alla Famiglia Paolina, alla Chiesa, al Concilio Ecumenico Vaticano II».

Spessissimo rinnovava queste intenzioni, ripeteva: «Io non ricordo più; la mia testa non è più come una volta: mi aiuti lei, mi suggerisca le intenzioni per la giornata».

Se Maestra Tecla non avesse avuto una grande fede non avrebbe seguito la vocazione. Ci volle fede veramente eroica a lasciare la famiglia per un avvenire incerto, per mantenere incarichi delicati, difficili, spesso non motivati che il Fondatore le affidava; mettersi a totale disposizione di un sacerdote che sconcertava un po’ tutti per la sua audacia; che dai soliti ben pensanti era considerato un sognatore, un megalomane, un illuso, destinato a un certissimo fallimento nelle sue imprese che a molti apparivano azzardate.

Chi ha vissuto a fianco, nei primi tempi di fondazione, a Don Alberione, ricorda quanto fosse difficile seguirlo, sempre e ovunque. D’altronde il Fondatore non portava scritto in fronte la volontà di Dio; spesso dava disposizioni e chiedeva sacrifici dei quali non sempre dava né poteva dare la motivazione. Egli conduceva per una via nuova e difficile che solo gli uomini di fede sanno vedere. Per seguirlo ci voleva una fede eroica che non tutti ebbero; molti e molte si tirarono indietro prudenzialmente per non andare a fondo con la piccola e incerta barca della loro istituzione.

Maestra Tecla non ebbe incertezze, non dubitò mai; nel Fondatore vide sempre e solo l’uomo suscitato da Dio per una missione nuova e speciale. Solo la fede eroica spiega perché lo abbia seguito, coadiuvato, difeso, aiutato in mille modi per quasi cinquant’anni. Quando era degente nella clinica di Albano, mi parlava spesso del Primo Maestro, dimostrando l’immensa stima che aveva di lui, la devozione incondizionata, l’affetto tenero e forte. Non esitò mai ad affrontare ingenti spese e anche critiche pur di attuare i desideri e i progetti di Don Alberione.

La Prima Maestra Tecla si impose all’ammirazione incondizionata di tutti per la prudenza nel governo. Il suo fu un governo sapiente e prudente che si reggeva su di un raro equilibrio tra la fortezza virile e la dolcezza femminile: con la dolcezza attirava l’affetto e con la fortezza otteneva l’obbediente e responsabile collaborazione, lieta e generosa.

Non era difficile accorgersi come Maestra Tecla viveva e operava nella luce e con la fortezza dello Spirito Santo. Anche se non possedeva una straordinaria cultura umana, aveva in modo spiccatissimo la sapienza del governo. Era dolce e forte insieme, esigente e umana, equilibrata e illuminata; tutti ricordano con riconoscenza e ammirazione quanto fossero illuminati e saggi i suoi consigli, le sue direttive, decisioni e comandi.

Aveva in grado eminente la scienza della vita spirituale, della vita religiosa e paolina, la scienza dei santi e di Dio. Lo Spirito Santo le elargiva la luce della fede, la scienza apostolica, la fortezza pratica, e rese il suo governo forte e materno, efficace ed esemplare.

MAESTRA DI DISTACCO E DI UMILTÀ

In Maestra Tecla inferma, ammirai la vera Maestra di distacco da tutto. Sorpresa dalla malattia in piena attività di Superiora generale di un Istituto ormai diffuso in tutti i continenti, con migliaia di membri e centinaia di case, aveva ancora una infinità di cose da iniziare e terminare, da continuare e modificare. Da lei non sentii mai una parola, non osservai mai un cenno che indicasse il timore o il dispiacere di dover lasciare ad altre il governo dell’Istituto. Né mai espresse il desiderio di riavere tempo e salute che le permettessero di far fronte alle cose più urgenti e importanti. Le sue espressioni preferite erano sempre queste: «Sia fatta la volontà di Dio. Deo gratias. Pazienza».

Ammirai il suo totale distacco dall’ufficio quando mi chiese consiglio dicendomi: «Vorrei dare le dimissioni… È meglio che un’altra prenda il mio posto per poter fare quanto occorre al bene della congregazione». La consigliai di manifestare la sua intenzione ai legittimi superiori e prima di tutto al Fondatore e poi di attenersi a quanto le avrebbero detto. Così fece. Le fu detto di rimanere al suo posto e di lasciar fare alla vicaria quanto non poteva far ella stessa. Accettò senza obiezioni, con semplicità, né mai più tornò sull’argomento delle dimissioni.

Una volta mi fece una confidenza che mi stupì, e mi rivelò quanto fosse intima e profonda la sua unione a Dio, quanto fosse docile la sua unione con lo Spirito Santo che la guidava nella contemplazione: «Quando faccio la visita al SS. Sacramento – mi disse – o quando faccio la S. Comunione, nell’ostia santa adoro Gesù Maestro, il Figlio di Dio incarnato e in Lui adoro il Padre e lo Spirito Santo. In Lui vedo tutto il corpo mistico. Mi dica, sbaglio forse?». Rassicurata, continuò a seguire la mozione dello Spirito Santo che agiva in lei, «quasi per divino istinto», la favoriva di queste profonde ispirazioni e semplificava la sua vita interiore, incentrandola saldamente nella contemplazione eucaristica, trinitaria e mariana.

Più di una volta mi confidò: «Non riesco più a pregare…» e due lacrime scendevano dagli occhi. Una sera disse: «Adesso non posso più fare lunghe preghiere né posso o mi lasciano andare in cappella a pregare, a far visita, a meditare; mi siedo sul balcone e guardo il cielo, guardo ciò che il Signore ha fatto, le sue opere e penso a Lui, così mi sento unita a Lui!».

Era fedelissima al proposito di coprire le mancanze delle sorelle. Non udii mai un’allusione, per quanto velata, a persone che l’avevano fatta soffrire o amareggiata. Non solo aveva perdonato ma sembrava aver dimenticato tutto.

Una sera, poco dopo il primo attacco del male, aveva sul tavolo un mucchio di lettere giunte da diverse parti del mondo. Mi disse: «Guardi quante sono buone le mie figlie: quante preghiere, quanti sacrifici fanno per me, per ottenere la mia guarigione. Questa malattia è servita a me e alle figlie più di un corso di esercizi. Io non merito che mi vogliano bene, mi vogliono bene perché sono buone».

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